sabato 31 gennaio 2009

Love is in the air

Tabriz,



"Ogni venerdì -la domenica dei musulmani- s'organizzavano sulla piazza principale dei combattimenti di lupi che i contadini venivano a vedere da molto lontano. Il vino bianco scorreva allora a fiotti, senza che alcun mullah vi trovasse da ridire. Il mercato era famoso, non solo per i suoi tappetti che a volte raggiungevano i quindicimila toman -cinquemila franchi d'oro- al metro quadrato, ma anche perché vi si trovavano i migliori falconi cacciatori di tutto il Medio Oriente: degli uccelli di Tartaria, giunti in volo attraverso la regione caspica e che crollavano sfiniti nel nord-est della provincia. Tabriz era all'epoca più ricca e popolosa di oggi, e i suoi commercianti avevan negozi ben avviati nelle fiere di Leipzig e Nigini-Novgorod. Poi la rivoluzione bolscevica e la conseguente chiusura della frontiera russa tuffarono la città in un letargo mortale.



(...) L'occupazione fu draconiana, ma disciplinata. I mendicanti furono strappati alla strada e costretti a lavorare per un tozzo di pane. Evacuando la città, i soviet si lasciarono dietro qualche strada asfaltata, una filanda ultra moderna, un università formicolante di simpatizzanti e le bancarelle ingombre di edizioni economiche di Marx, Lenin o Ehrenburg, tradotti per la circostanza in dialetto turco-azero. Lasciavano anche e soprattutto una "Repubblica Democratica dell'Azerbaijan", repubblica improvvisata, il cui governo, sopraffatto dai compiti, precipitò subitamente nell'anarchia e nella vodka. All'inizio del 1947 le truppe iraniane recuperarono la città senza sparare un colpo."


"C'erano pochi stranieri in città. E' curioso uno straniero: Attraverso il giardino, da sopra i muri dei cortiletti, dall'alto di tetti a terrazza, i nostri vicini armeni ci osservavano. Con discrezione. Durante le nostre assenze, poteva succedere che una scopa misteriosa ripulisse il nostro pavimento o che delle mani invisibili posassero sulla nostra tavola una ciotola di zuppa amara."


"Sull'altopiano dell'Azerbaijan, esso arriva tardi, ma bene. Una bella sera le stelle appaiono vicinissime, in un cielo regale, e gli abitanti del quartiere tiran fuori i loro korsi (scaldapiedi che si infila fino alla vita). Nella notte il termometro precipita a -30°; il giorno dopo, l'inverno è in città. Un vento tagliente scende da nord a raffiche, solleva in turbini la neve e ghiaccia la campagna. I lupi si fanno più arditi e i senza-lavoro dei sobborghi s'organizzano in bande per depredare i contadini. Le barbe e i baffi si coprono di brina, i samovar fumano, le mani restano in fondo alle tasche. Non si hanno in mente che tre parole:tè... carbone... vodka. Sulla porta del nostro cortile, i ragazzini armeni avevan disegnato col gesso una enorme puttana con tanto di stivaletti, e con innumerevoli gonnelle, e un piccolo sole nell'area del basso ventre. Il che certo non manca di poesia, almeno fino a quando si riusciva a riempire la stufa e a pagare il venditore di legna."


Nicolas Bouvier, La polvere del mondo


1 commento:

  1. MERAVIGLIOSI FOTO I ARTICOLO TANTO INTERESSANTI PER ME ,TANTE GRAZIAE!

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